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LA CERAMICA DI MONDOVÌ
Storia del distretto ceramico monregalese

Storia del distretto ceramico monregalese

Il territorio monregalese all’inizio dell’Ottocento era economicamente vivace, con le sue manifatture di seta e di panni di lana per uso militare, e con i suoi legami commerciali di sempre con la Liguria. L’attività ceramica non era particolarmente rilevante, ed era in mano ad artigiani di Chiusa di Pesio, con la loro maiolica ordinaria. Nel 1805, per l’iniziativa del medico giacobino Francesco Perotti, fu introdotta  a Mondovì la produzione di terraglia fine. Nella prima metà del secolo il radicamento di questo ramo di industria seguì le risorse straordinarie che la città aveva in contatti e relazioni con i centri del proprio distretto e con il territorio ligure.

Il protagonista di questa fase fu infatti un nativo di Savona, Benedetto Musso, che fu infaticabile nell’attirare maestranze e tecnologia dalla sua terra natale e nell’organizzare i flussi della legna e dell’argilla dalle valli del territorio monregalese. Lo stesso territorio non tardò, attorno alla metà del secolo, a rispondere a queste iniziative facendo nascere altre fabbriche, più vicine a quelle due materie prime fondamentali: a Chiusa Pesio, Moline di Vicoforte, Villanova Mondovì.

La realtà ceramica monregalese diventò distrettuale proprio in un momento di grande espansione economica sul piano europeo. La seconda metà dell’Ottocento fu la vera età dell’oro della ceramica monregalese, quella in cui si fissarono per sempre i caratteri della produzione “Vecchia Mondovì”.

La crisi mondiale dei prezzi provocò a partire dagli anni ’70 gravi sconvolgimenti sociali, con fenomeni  di abbandono delle terre, inurbamento, emigrazione. Il distretto ceramico monregalese resistette a quelle circostanze sfruttando la manodopera abbondante e a basso costo, e riuscendo a produrre la sua terraglia ai bassi prezzi imposti dal mercato; molte fabbriche affiancarono alla produzione consueta quella di stoviglieria ordinaria e da cucina. La crisi bancaria degli anni ’80 inaugurò per le fabbriche della città un periodo di fallimenti, dismissioni, vendite, che segnò una frattura della storia della “Vecchia Mondovì”.

Nei primi decenni del secolo l’Italia compì il suo balzo verso l’industrializzazione, e Mondovì condivideva all’epoca con Savigliano il primato provinciale della città con più addetti all’industria (circa il 10% della popolazione). Nel paesaggio imprenditoriale della ceramica si affacciarono nuovi attori, tra i quali spiccava la Richard-Ginori di Milano, che fece della sua fabbrica di Carassone la più grande e moderna di tutto il distretto.  La Grande Guerra impose uno stop alla crescita; la crisi del '29 costrinse le fabbriche di Mondovì a costituire l'"Ufficio Unico Consorziale" per la vendita e il credito.

Nel secondo dopoguerra le fabbriche cercarono di adeguarsi ad una concorrenza nazionale sempre più insidiosa, rinnovando attrezzature e processi produttivi. In particolare il prezzo della terraglia forte si era avvicinato di molto a quello della terraglia tenera monregalese, riducendo i suoi spazi di mercato. Gli impianti ottocenteschi, specie dal punto di vista edilizio, richiedevano trasformazioni radicali e investimenti che le aziende monregalesi non potevano permettersi.  Dopo una stentata sopravvivenza tra gli anni ’60 e ’70 tutte le maggiori fabbriche del distretto chiusero i battenti. Con la fine del secolo l’esperienza della ceramica monregalese come attività industriale potè considerarsi chiusa; non certo la tradizione della sapienza tecnica ed estetica, portata avanti da piccoli laboratori artigianali.

Il territorio monregalese all’inizio dell’Ottocento era economicamente vivace, con le sue manifatture di seta e di panni di lana per uso militare, e con i suoi legami commerciali di sempre con la Liguria. L’attività ceramica non era particolarmente rilevante, ed era in mano ad artigiani di Chiusa di Pesio, con la loro maiolicaordinaria. Nel 1805, per l’iniziativa del medico giacobino Francesco Perotti, fu introdotta a Mondovì la produzione di terraglia fine. Nella prima metà del secolo il radicamento di questo ramo di industria seguì le risorse straordinarie che la città aveva in contatti e relazioni con i centri del proprio distretto e con il territorio ligure. Il protagonista di questa fase fu infatti un nativo di Savona, Benedetto Musso, che fu infaticabile nell’attirare maestranze e tecnologia dalla sua terra natale e nell’organizzare i flussi della legna e dell’argilla dalle valli del territorio monregalese. Lo stesso territorio non tardò, attorno alla metà del secolo, a rispondere a queste iniziative facendo nascere altre fabbriche, più vicine a quelle due materie prime fondamentali: a Chiusa Pesio, Moline di Vicoforte, Villanova Mondovì.

La realtà ceramica monregalese diventò distrettuale proprio in un momento di grande espansione economica sul piano europeo. La seconda metà dell’Ottocento fu la vera età dell’oro della ceramica monregalese, quella in cui si fissarono per sempre i caratteri della produzione “Vecchia Mondovì”.

La crisi mondiale dei prezzi provocò a partire dagli anni ’70 gravi sconvolgimenti sociali, con fenomeni di abbandono delle terre, inurbamento, emigrazione. Il distretto ceramico monregalese resistette a quelle circostanze sfruttando la manodopera abbondante e a basso costo, e riuscendo a produrre la sua terraglia ai bassi prezzi imposti dal mercato; molte fabbriche affiancarono alla produzione consueta quella di stoviglieria ordinaria e da cucina. La crisi bancaria degli anni ’80 inaugurò per le fabbriche della città un periodo di fallimenti, dismissioni, vendite, che segnò una frattura della storia della “Vecchia Mondovì”.

Nei primi decenni del secolo l’Italia compì il suo balzo verso l’industrializzazione, e Mondovì condivideva all’epoca con Savigliano il primato provinciale della città con più addetti all’industria (circa il 10% della popolazione). Nel paesaggio imprenditoriale della ceramica si affacciarono nuovi attori, tra i quali spiccava la Richard-Ginori di Milano, che fece della sua fabbrica di Carassone la più grande e moderna di tutto il distretto. La Grande Guerra impose uno stop alla crescita; la crisi del '29 costrinse le fabbriche di Mondovì all'"Ufficio Unico Consorziale" per la vendita e il credito.

Nel secondo dopoguerra le fabbriche cercarono di adeguarsi ad una concorrenza nazionale sempre più insidiosa, rinnovando attrezzature e processi produttivi. In particolare il prezzo della terraglia forte si era avvicinato di molto a quello della terraglia tenera monregalese, riducendo i suoi spazi di mercato. Gli impianti ottocenteschi, specie dal punto di vista edilizio, richiedevano trasformazioni radicali e investimenti che le aziende monregalesi non potevano permettersi. Dopo una stentata sopravvivenza tra gli anni ’60 e ’70 tutte le maggiori fabbriche del distretto chiusero i battenti. Con la fine del secolo l’esperienza della ceramica monregalese come attività industriale potè considerarsi chiusa; non certo la tradizione della sapienza tecnica ed estetica, portata avanti da piccoli laboratori artigianali.

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